Il dubbio sull’eccesso di laureati viene riproposto, con insistenza, da tempo. Ma ha fondamento?
L’aumento, consistente, del numero di giovani che hanno raggiunto un titolo di studio di terzo livello ha sicuramente contribuito ad elevare la soglia educazionale del Paese, gravemente in ritardo, come è noto, a livello internazionale. Ancora fra i neodottori del 2010, la laurea è entrata per la prima volta nelle famiglie di 72 laureati su cento (75 su cento fra quelli di primo livello). Ciò è avvenuto anche per effetto dell’ampliarsi della popolazione che ha potuto accedere agli studi universitari provenendo da ambienti sociali meno favoriti. Né il fenomeno è rimasto circoscritto ai tradizionali protagonisti dell’università, i giovani di 19 anni che sono tra l’altro in calo all’anagrafe (meno 37 per cento dal 1984 al 2010). Le nuove offerte formative hanno avvicinato agli studi una popolazione di età adulti. Ma l’andamento delle immatricolazioni mostra che l’espansione della fascia adulta, che si è verificata dal 2001-2005, è ora ridimensionata.
E ogni scenario futuro non può che fare riferimento all’andamento delle immatricolazioni ridottesi negli ultimi sette anni del 13 per cento. Una riduzione dovuta all’effetto combinato di molti fattori: il calo demografico, la diminuzione degli immatricolati in età più adulta, il minor passaggio dalla scuola secondaria superiore all’università (che aveva raggiunto il 74,5 per cento nel 2002 e che nella documentazione più recente – 2009 – è sceso a quota 65,7), il ridotto interesse dei giovani diciannovenni per gli studi universitari (solo il 31 per cento di loro vi si iscrive), la crescente difficoltà di tante famiglie a sopportare i costi diretti ed indiretti dell’istruzione universitaria in assenza di una adeguata politica per il diritto allo studio.
Tutto ciò precisato si può parlare di eccesso di laureati nel nostro Paese? Qual è la posizione dell’Italia nel panorama internazionale?
In realtà a lievitare, più che i laureati sono stati i titoli universitari, passati dai 172mila del 2001 ai 293mila del 2009. Nella documentazione più recente OECD, relativa al 2008, il ritardo dell’Italia nel contesto internazionale emerge purtroppo in tutta la sua ampiezza: fra i giovani italiani di età 25-34 i laureati costituivano il 20 per cento contro la media dei paesi OECD pari a 35 (il 24 per cento in Germania, il 38 nel Regno Unito, il 41 in Francia, il 42 negli Stati Uniti, il 55 in Giappone).
Anche l’obiettivo strategico pari al 40% della popolazione di 30-34 anni laureata, che la Commissione Europea ha individuato come mèta da raggiungere entro il 2020, (obiettivo già raggiunto da quasi la metà dei paesi dell’Unione Europea), per il nostro Paese risulta ancora lontano.
Non solo: nella fascia di età 30-34 anni, strategica per realizzare la società della conoscenza e per competere a livello internazionale, fra il 2004 e il 2009 la presenza di laureati in Italia è cresciuta solo dal 16 al 19%!