Al di là del tradizionale passaggio dai licei all'università, l'analisi del retroterra di studi secondari superiori conferma l'incremento di giovani provenienti da percorsi tecnico-professionali e da ambienti familiari meno favoriti. Fra i laureati, infatti, resta limitata la quota di quanti hanno almeno un genitore laureato (24 per cento) e parallelamente cresce la percentuale di giovani di estrazione operaia (26 per cento).
Complessivamente i lavoratori-studenti sono l'8,4 per cento fra i laureati triennali; la loro presenza riguarda una quota rilevante dei neodottori dei gruppi giuridico e insegnamento (24 e 20 per cento, rispettivamente).
Si conferma su valori elevati (molto più elevati di quanto registrato fra i laureati pre-riforma) la frequenza alle lezioni. Hanno dichiarato di avere frequentato regolarmente più del 75 per cento degli insegnamenti previsti 69 laureati su cento: fra l'83 e il 94 per cento dei laureati del gruppo chimico-farmaceutico, dei neoingegneri, dei neoarchitetti e di quelli nelle professioni sanitarie e all'estremo opposto il 35,5 per cento dei laureati del gruppo giuridico.
Gli studi all'estero con i programmi Erasmus, dopo una prima contrazione negli anni successivi all'avvio della riforma, hanno ripreso quota come le altre esperienze di studio all'estero. Fra i laureati pre-riforma del 2004, l'8,4 per cento aveva studiato all'estero utilizzando Erasmus ed altri programmi dell'Ue. Nel 2011 la stessa opportunità ha riguardato il 5,3 per cento dei laureati di primo livello: 22 neodottori su cento nel gruppo linguistico, 7,2 su cento nel gruppo politico-sociale, ma pochissimi (fra 1,2 e 1,7 per cento) fra i laureati dei gruppi chimico-farmaceutico, giuridico e medico-professioni sanitarie. Più complessivamente le esperienze di studio all'estero (comprendendovi oltre ad Erasmus altri programmi riconosciuti dal corso di studi e le attività condotte su iniziativa personale) coinvolgono oggi il 10,2 per cento dei laureati di primo livello.
Assai diffuse risultano le esperienze di tirocinio e stage riconosciute dal corso di studi, a sottolineare il forte impegno delle università e la crescente collaborazione con il mondo del lavoro (oltre l'80 per cento dei tirocini sono stati svolti al di fuori dell'università). Sono esperienze che entrano nel bagaglio formativo di 60 laureati su cento: 89 su cento neodottori in agraria, 87 laureati del gruppo insegnamento, 84,5 di quello delle professioni sanitarie, ma anche 41,5 laureati su cento del gruppo economico-statistico e perfino 33 neodottori su cento nelle materie giuridiche. è bene ricordare che l'esperienza di tirocinio/stage si associa ad un più elevato indice di occupazione. L'ultima indagine sulla condizione occupazionale dei laureati ha accertato che, a parità di condizioni, chi ha svolto questo tipo di esperienza durante gli studi ha il 13,6% in più di probabilità di lavorare rispetto a chi non vanta un'esperienza analoga.
La soddisfazione per l'esperienza universitaria, seppure condizionata da aspettative differenti, risulta sostanzialmente consolidata nel tempo. Si dichiarano decisamente soddisfatti del corso di studi concluso circa 33 laureati su cento (ed altri 54 esprimono una soddisfazione più moderata): fra il 40 e il 38 per cento dei laureati dei gruppi medico-professioni sanitarie, insegnamento, chimico-farmaceutico e scientifico e all'estremo opposto, su valori dimezzati, 21-22 laureati su cento dei gruppi linguistico e architettura. Quasi un quinto dei laureati è rimasto decisamente soddisfatto dei rapporti con i docenti (ed altri 65 dichiarano di esserlo in misura più contenuta): soprattutto fra i laureati del gruppo medico-professioni sanitarie (27 per cento), di quelli agrario e chimico-farmaceutico (entrambi intorno al 26 per cento). Più severo il parere dei laureati in architettura e ingegneria che solo nel 12 e 15 per cento dei casi, rispettivamente, si dichiarano pienamente soddisfatti.
Se potessero tornare indietro 66 laureati su cento sarebbero disposti a ripetere l'esperienza di studio appena compiuta, nello stesso percorso di studio della stessa università. Altri 11 resterebbero nello stesso Ateneo, ma si orienterebbero diversamente; 12 laureati su cento farebbero la scelta inversa: stesso corso, ma in altro Ateneo. Altri 7,5 cambierebbero sia corso sia università, ma solo 2 non si iscriverebbero più. La piena conferma dell'esperienza compiuta trova d'accordo il 77 per cento dei laureati del gruppo scientifico e il 73 per cento di quelli delle professioni sanitarie, 56 laureati su cento dei gruppi architettura e 51,5 del linguistico.
L'intenzione di proseguire gli studi, completata la laurea di primo ciclo, è generalmente assunta come la cartina di tornasole dello stato di avanzamento della riforma. Si trattava di una tendenza già elevata fra i laureati pre-riforma (riguardava infatti il 55 per cento dei laureati del 2004). Ma è evidente che su questo indicatore convergono e si sintetizzano una pluralità di fattori che si accentuano di fronte alla difficoltà dei giovani di percepire scenari incoraggianti ma anche al desiderio di tanti di acquisire specifiche competenze professionalizzanti. Fattori che riguardano le strategie di vita del singolo, la capacità formativa dell'università, ma anche le difficoltà del mercato del lavoro pubblico e privato. Certo è che, concluso il corso di primo livello, 77 laureati su cento dichiarano l'intenzione di proseguire gli studi (più fra i laureati del sud): il 94 per cento dei neopsicologi e l'89 per cento dei laureati del gruppo geo-biologico, ma anche il 63 per cento del gruppo insegnamento e il 60 per cento dei laureati di quello giuridico.
Alla laurea specialistica, che è l'obiettivo più diffuso fra quanti sono orientati a proseguire gli studi ambiscono 61 laureati su cento. L'82-87 per cento dei laureati dei gruppi ingegneristico, geo-biologico e psicologico, ma anche nei percorsi di studio che fanno registrare i valori più bassi, l'attrattiva della laurea specialistica riguarda il 46 per cento dei laureati in educazione fisica, il 43 per cento del gruppo insegnamento e il 21 per cento delle professioni sanitarie. La continuità di sede riguarda il 74 per cento dei laureati di primo livello intenzionati a proseguire con la laurea magistrale. Il laureato che vuole proseguire con una laurea magistrale ha caratteristiche all'ingresso più favorevoli, migliori performance all'università, è più soddisfatto del percorso compiuto. E lo fa perché vuole completare la propria formazione influenzato, influenzato anche delle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.