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I 121mila laureati di primo livello del 2011 si raccontano

 

Al di là del tradizionale passaggio dai licei all'università, l'analisi del retroterra di studi secondari superiori conferma l'incremento di giovani provenienti da percorsi tecnico-professionali e da ambienti familiari meno favoriti. Fra i laureati, infatti, resta limitata la quota di quanti hanno almeno un genitore laureato (24 per cento) e parallelamente cresce la percentuale di giovani di estrazione operaia (26 per cento).

Complessivamente i lavoratori-studenti sono l'8,4 per cento fra i laureati triennali; la loro presenza riguarda una quota rilevante dei neodottori dei gruppi giuridico e insegnamento (24 e 20 per cento, rispettivamente).

Si conferma su valori elevati (molto più elevati di quanto registrato fra i laureati pre-riforma) la frequenza alle lezioni. Hanno dichiarato di avere frequentato regolarmente più del 75 per cento degli insegnamenti previsti 69 laureati su cento: fra l'83 e il 94 per cento dei laureati del gruppo chimico-farmaceutico, dei neoingegneri, dei neoarchitetti e di quelli nelle professioni sanitarie e all'estremo opposto il 35,5 per cento dei laureati del gruppo giuridico.

Gli studi all'estero con i programmi Erasmus, dopo una prima contrazione negli anni successivi all'avvio della riforma, hanno ripreso quota come le altre esperienze di studio all'estero. Fra i laureati pre-riforma del 2004, l'8,4 per cento aveva studiato all'estero utilizzando Erasmus ed altri programmi dell'Ue. Nel 2011 la stessa opportunità ha riguardato il 5,3 per cento dei laureati di primo livello: 22 neodottori su cento nel gruppo linguistico, 7,2 su cento nel gruppo politico-sociale, ma pochissimi (fra 1,2 e 1,7 per cento) fra i laureati dei gruppi chimico-farmaceutico, giuridico e medico-professioni sanitarie. Più complessivamente le esperienze di studio all'estero (comprendendovi oltre ad Erasmus altri programmi riconosciuti dal corso di studi e le attività condotte su iniziativa personale) coinvolgono oggi il 10,2 per cento dei laureati di primo livello.

Assai diffuse risultano le esperienze di tirocinio e stage riconosciute dal corso di studi, a sottolineare il forte impegno delle università e la crescente collaborazione con il mondo del lavoro (oltre l'80 per cento dei tirocini sono stati svolti al di fuori dell'università). Sono esperienze che entrano nel bagaglio formativo di 60 laureati su cento: 89 su cento neodottori in agraria, 87 laureati del gruppo insegnamento, 84,5 di quello delle professioni sanitarie, ma anche 41,5 laureati su cento del gruppo economico-statistico e perfino 33 neodottori su cento nelle materie giuridiche. è bene ricordare che l'esperienza di tirocinio/stage si associa ad un più elevato indice di occupazione. L'ultima indagine sulla condizione occupazionale dei laureati ha accertato che, a parità di condizioni, chi ha svolto questo tipo di esperienza durante gli studi ha il 13,6% in più di probabilità di lavorare rispetto a chi non vanta un'esperienza analoga.

La soddisfazione per l'esperienza universitaria, seppure condizionata da aspettative differenti, risulta sostanzialmente consolidata nel tempo. Si dichiarano decisamente soddisfatti del corso di studi concluso circa 33 laureati su cento (ed altri 54 esprimono una soddisfazione più moderata): fra il 40 e il 38 per cento dei laureati dei gruppi medico-professioni sanitarie, insegnamento, chimico-farmaceutico e scientifico e all'estremo opposto, su valori dimezzati, 21-22 laureati su cento dei gruppi linguistico e architettura. Quasi un quinto dei laureati è rimasto decisamente soddisfatto dei rapporti con i docenti (ed altri 65 dichiarano di esserlo in misura più contenuta): soprattutto fra i laureati del gruppo medico-professioni sanitarie (27 per cento), di quelli agrario e chimico-farmaceutico (entrambi intorno al 26 per cento). Più severo il parere dei laureati in architettura e ingegneria che solo nel 12 e 15 per cento dei casi, rispettivamente, si dichiarano pienamente soddisfatti.

Se potessero tornare indietro 66 laureati su cento sarebbero disposti a ripetere l'esperienza di studio appena compiuta, nello stesso percorso di studio della stessa università. Altri 11 resterebbero nello stesso Ateneo, ma si orienterebbero diversamente; 12 laureati su cento farebbero la scelta inversa: stesso corso, ma in altro Ateneo. Altri 7,5 cambierebbero sia corso sia università, ma solo 2 non si iscriverebbero più. La piena conferma dell'esperienza compiuta trova d'accordo il 77 per cento dei laureati del gruppo scientifico e il 73 per cento di quelli delle professioni sanitarie, 56 laureati su cento dei gruppi architettura e 51,5 del linguistico.

L'intenzione di proseguire gli studi, completata la laurea di primo ciclo, è generalmente assunta come la cartina di tornasole dello stato di avanzamento della riforma. Si trattava di una tendenza già elevata fra i laureati pre-riforma (riguardava infatti il 55 per cento dei laureati del 2004). Ma è evidente che su questo indicatore convergono e si sintetizzano una pluralità di fattori che si accentuano di fronte alla difficoltà dei giovani di percepire scenari incoraggianti ma anche al desiderio di tanti di acquisire specifiche competenze professionalizzanti. Fattori che riguardano le strategie di vita del singolo, la capacità formativa dell'università, ma anche le difficoltà del mercato del lavoro pubblico e privato. Certo è che, concluso il corso di primo livello, 77 laureati su cento dichiarano l'intenzione di proseguire gli studi (più fra i laureati del sud): il 94 per cento dei neopsicologi e l'89 per cento dei laureati del gruppo geo-biologico, ma anche il 63 per cento del gruppo insegnamento e il 60 per cento dei laureati di quello giuridico.

Alla laurea specialistica, che è l'obiettivo più diffuso fra quanti sono orientati a proseguire gli studi ambiscono 61 laureati su cento. L'82-87 per cento dei laureati dei gruppi ingegneristico, geo-biologico e psicologico, ma anche nei percorsi di studio che fanno registrare i valori più bassi, l'attrattiva della laurea specialistica riguarda il 46 per cento dei laureati in educazione fisica, il 43 per cento del gruppo insegnamento e il 21 per cento delle professioni sanitarie. La continuità di sede riguarda il 74 per cento dei laureati di primo livello intenzionati a proseguire con la laurea magistrale. Il laureato che vuole proseguire con una laurea magistrale ha caratteristiche all'ingresso più favorevoli, migliori performance all'università, è più soddisfatto del percorso compiuto. E lo fa perché vuole completare la propria formazione influenzato, influenzato anche delle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.

I laureati specialistici biennali del 2011

 

I laureati specialistici biennali hanno alle spalle un percorso scolastico secondario superiore fortemente caratterizzato da studi liceali-scientifici, più di quanto non si registri fra i laureati di primo livello, e sono favoriti dall'ambiente familiare di provenienza che li vede uscire da famiglie con genitori laureati più frequentemente di quanto non si riscontri fra i laureati di primo livello (28,8 per cento dei casi, contro il 24 per cento).

Nell'esperienza formativa dei laureati specialistici si riscontrano indici particolarmente elevati di frequenza alle lezioni (71 laureati su cento dichiarano di avere frequentato regolarmente più dei tre quarti degli insegnamenti previsti). Si riscontra, inoltre, una consistente esperienza di stage, che coinvolge complessivamente 54,5 laureati specialistici su cento (il 78 per cento in quello medico-professioni sanitarie e il 14 per cento nel gruppo giuridico). Più diffusa anche l'utilizzazione delle opportunità di studio all'estero con programmi comunitari: complessivamente 9,3 su cento (4 punti percentuali in più di quanto accertato fra i laureati di primo livello). Il bilancio al termine dell'intero percorso 3+2 restituisce un quadro di esperienze di studio all'estero con programmi europei e con iniziative riconosciute dal corso di studi che hanno coinvolto complessivamente 17,5 laureati specialistici su 100. Un valore elevato e assai prossimo agli obiettivi fissati per il 2020 dai ministri europei.

L'esperienza compiuta con la laurea specialistica risulta ampiamente apprezzata (se sono decisamente soddisfatti 36 laureati su cento, altri 52 esprimono comunque una valutazione positiva) tanto che la gran parte (73,5 per cento) la ripeterebbe nelle stesse condizioni (stesso corso e stesso ateneo). Si tratta di un processo di fidelizzazione superiore all'80 per cento – e dunque particolarmente riuscito – per i laureati specialistici dei gruppi giuridico ed ingegneristico.

Più di un interrogativo pone la quota elevata, 41 laureati su cento, di coloro che terminato il secondo ciclo dell'università riformata aspirano ad un'ulteriore prosecuzione degli studi. Il 12 per cento intende proseguire con un dottorato di ricerca; altri 9 su cento puntano a master universitari mentre poco più del 5 per cento intende indirizzarsi verso un tirocinio/praticantato e una quota analoga verso una scuola di specializzazione. L'intenzione di proseguire riguarda il 79 per cento dei laureati del gruppo psicologico, il 63 per cento dei loro colleghi del gruppo medico-professioni sanitarie, il 56 per cento del geo-biologico, meno di un quarto dei neoingegneri.

I laureati specialistici a ciclo unico del 2011

Si tratta di un collettivo di estrazione sociale più elevata (44 su cento provengono da famiglie con almeno un genitore laureato); il 77 per cento ha una formazione liceale. Positive risultano le performance di questi laureati nella votazione di laurea (in media 104,4 su 110), nell'esperienza di studi all'estero con programmi comunitari (che riguarda 11,1 laureati su cento) e nella regolarità con cui riescono a concludere gli studi in corso (35 per cento). L'identikit di questi laureati conferma che i percorsi di studio di cui si tratta non consentono il contemporaneo svolgimento di attività lavorative (solo 3 laureati su cento sono lavoratori-studenti). Risulta positiva la valutazione dell'esperienza compiuta, se si considera la disponibilità a ripeterla: nel 71 per cento dei casi nella stessa sede ed in altri 17 per cento in sedi diverse. L'elevata propensione alla prosecuzione degli studi (68 per cento) è in parte fisiologicamente dovuta alla componente medica e giuridica, "obbligata" a proseguire verso la specializzazione o il praticantato.

Gli studi sotto casa e ancora pochi studenti esteri nelle nostre università: la mobilità territoriale dall'immatricolazione alla ricerca di lavoro

 

Crescente, ma ancora distante dagli obiettivi auspicati, la capacità attrattiva delle nostre università verso giovani di altri Paesi che raggiunge il 3,3 per cento degli iscritti. Anche su questo versante il confronto internazionale restituisce l'immagine di un ritardo preoccupante (nei Paesi OCSE, sempre che la definizione di studente estero sia identica in tutti i paesi, tale quota è pari all'8,7 per cento). La stessa mobilità attraverso il programma Erasmus evidenzia che per 100 studenti italiani che vanno all'estero, ne entrano solo 83. Aumenta invece il numero dei connazionali che decide di studiare in altri Paesi anche per la preoccupazione di avere difficoltà a trovare un'adeguata collocazione lavorativa in patria. Ma si dilata contemporaneamente anche la tendenza a non allontanarsi da casa, a studiare nella sede più vicina, quale che sia l'offerta formativa disponibile, spesso perfino nella prosecuzione degli studi, oltre il primo livello. A frenare questo tipo di mobilità territoriale concorrono anche i costi, spesso insostenibili per le famiglie. Nel 2011, 49 laureati su 100 sono "stanziali", ovvero hanno concluso il percorso di studi universitari nella stessa provincia in cui hanno ottenuto il diploma. Altri 26 si sono spostati al massimo in una provincia limitrofa a quella in cui si erano diplomati. Altri 11 su cento si sono spostati ma sono rimasti nella stessa ripartizione geografica; 12 su cento hanno effettuato una migrazione per studio dal Sud al Centro-Nord, i rimanenti 2 su cento, infine, avevano ottenuto il diploma all'estero.

La mobilità territoriale, in particolare quella di lungo raggio, si svolge quasi esclusivamente dal Sud al Centro-Nord: gli Atenei del Centro-Nord (in particolare Bologna e Roma La Sapienza) sono quelli che attraggono maggiormente laureati ad elevata mobilità. La propensione alla mobilità per ragioni di lavoro dopo il conseguimento del titolo universitario ancora una volta è pressoché unidirezionale (dal Sud al Centro-Nord). Dal diploma alla ricerca del lavoro il Mezzogiorno perde circa 40 diplomati su 100.

La sfida dell’università: la qualità insegnamento

 

 Istruzione di massa uguale minore qualità, dunque – paradossalmente - aumento delle diseguaglianze in termini di opportunità formative? La domanda è provocatoria, ma è attorno ad essa che ruota l’importante dibattito sulla qualità della formazione. L’accertamento della qualità degli studi compiuti e della preparazione dei giovani resta un aspetto centrale ma anche di assai complessa determinazione.

Quello che appare importante è introdurre sistemi di valutazione delle istituzioni universitarie più sofisticati che prevedano l’utilizzo di criteri basati sulla misurazione del valore aggiunto. Ovvero, a parità di condizioni di partenza, come il singolo Ateneo o la singola Facoltà riescono a far crescere lo studente? Questo per andare effettivamente a distinguere, anche in vista di un sistema sempre più premiale, realtà virtuose che operano in contesti disagiati e realtà più modeste che tali non appaiono solamente perché avvantaggiate da contesti favorevoli.

Un’analisi sperimentale basata su documentazione AlmaLaurea, condotta dal professor Francesco Ferrante, economista dell’Università di Cassino, con i ricercatori AlmaLaurea, mostra che la qualità degli studenti immatricolati nelle facoltà di Ingegneria, misurata attraverso il risultato dei test standardizzati CISIA, ha un significativo impatto sulla regolarità degli studi. La graduatoria per Facoltà per numero di studenti in corso cambia a seconda se si considerano o meno le condizioni di partenza degli studenti che in quelle Facoltà si iscrivono (misurata dai test). “Così come un’impresa è interessata al valore aggiunto per addetto più che al fatturato – spiega Ferrante – anche il policy maker dovrebbe essere interessato a destinare risorse pubbliche in funzione della produttività delle istituzioni universitarie piuttosto che in base agli esiti in uscita dei laureati”.

Non a caso, l’attenzione per la valutazione della performance del sistema formativo sulla base del valore aggiunto è più radicata nei paesi nei quali la cultura della valutazione è più diffusa. Si tratta di approfondimenti ai quali AlmaLaurea ha deciso di destinare parte significativa della propria esperienza e delle competenze maturate in quasi vent’anni di attività. Perché investire di più e meglio nell’istruzione di terzo livello e in ricerca non può che essere l’obiettivo a cui tendere. Per garantire un futuro alle giovani generazioni capaci e meritevoli, al mondo produttivo impegnato a competere sui mercati internazionali, all’intero Paese.