Con il termine smart working si intende un nuovo modello organizzativo, fondato sulla possibilità di flessibilità e autonomia delle persone nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare nel proprio impiego, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
Osservando le modalità di lavoro intraprese durante la pandemia da Covid-19, verrebbe da pensare che quando parliamo di smart working ci riferiamo alla trasposizione delle attività lavorative dall’ufficio alle mura domestiche.
Infatti, per molti, durante il lockdown, smart working ha significato dotarsi di un pc e lavorare da casa negli orari in cui si era soliti recarsi al lavoro e anche oltre. Questa modalità sembra ricalcare il telelavoro, che esisteva ed era normato (per il settore pubblico “D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70” e per quello privato “accordo interconfederale del 20 gennaio 2000”) ben prima dello smart working emergenziale e che era concepito come un’attività lavorativa fuori dal contesto aziendale, svolta grazie all’utilizzo di tecnologie.
Con smart working, anche detto Lavoro agile (a regolamentarlo era la Legge n.81 del 22 maggio 2017), permane lo svolgimento della propria attività lavorativa al di fuori del contesto aziendale, l’utilizzo della tecnologia e di una dotazione informatica apposita ma a queste caratteristiche deve affiancarsi una nuova filosofia manageriale, che si incentri su flessibilità e autonomia. In questo senso vengono ripensati i concetti di tempo e spazio del lavoro in un contesto che mette al centro responsabilità del lavoratore e il rapporto di fiducia tra datori di lavoro e collaboratori. In particolare lo smart working presuppone che questi ultimi possano scegliere l’orario e il luogo di lavoro in base all’attività lavorativa da svolgere e che siano dotati degli strumenti idonei a questo svolgimento.
Quali sono le principali novità apportate dallo smart working per dipendenti e organizzazioni? Che conseguenze ha in concreto lo smart working a livello personale e sociale? Approfondiamolo con esempi concreti nelle prossime righe.
Esiste una ricetta per lo smart working?
Lo smart working è arrivato in tante realtà differenti in modo improvviso, spesso senza un vero e proprio piano di attuazione. In questo periodo invece sono diverse le aziende che stanno istituzionalizzando questo nuovo modo di lavorare, cercando di adattarlo alle proprie peculiarità ed esigenze. Stabilire delle regole univoche perché lo smart working diventi una best practice a priori è impossibile, ma ci sono sicuramente degli accorgimenti che possono risultare utili alla maggioranza delle realtà che provano a dare un’ossatura a quest’ultimo.
- Tecnologie adeguate
Per una questione di semplice concretezza, il primo tema da prendere in esame è quello che coinvolge la dotazione tecnologica di cui sono munite le risorse che operano nella medesima realtà. Se da una parte il mondo ci offre tecnologie sempre più efficienti e user friendly, non sempre le aziende sono sufficientemente aggiornate da poter attuare pratiche di smart working efficaci ed immediate. Per rendere lo smart working parte integrante della propria realtà i dipendenti devono essere dotati di strumenti efficienti, che possano coprire tutte le funzioni cui sono chiamati ad occuparsi anche in ufficio. In questo senso molte realtà considerano opportuno contribuire alla spesa del dipendente per la connessione internet domestica e per l’acquisto di strumenti non indispensabili ma sicuramente utili a svolgere il proprio lavoro serenamente, tra questi sono individuabili una seduta a norma ed un piano di lavoro adeguato.
- Coinvolgimento dei collaboratori
Le dotazioni tecnologiche sono complete ed efficienti? Ottimo, ma prima di dirsi pronti ad affrontare un’evoluzione così grande come quella rappresentata dallo smart working bisogna che tutte le persone coinvolte nel processo abbiano ben chiaro come utilizzare al meglio gli strumenti messi loro a disposizione. Un’attività come lo smart working è infatti estremamente elastica e delle risorse formate al meglio sulle tecnologie garantiscono all’organizzazione l’assenza di rischi legati a malfunzionamenti.
- Spazi ibridi e delocalizzati
Ogni realtà che ricorre alle politiche di smart working non ha più bisogno di spazi fisici per la totalità dei propri dipendenti, per cui l'ambiente di lavoro si trasforma. Le sedi abbandonano le scrivanie tradizionali che cedono il passo a postazioni di lavoro ibride e condivisibili. Inoltre il cambio di paradigma ha portato a ulteriori novità, che non riguardano solamente l’ubicazione degli uffici delle singole organizzazioni. Si può lavorare anche presso coworking o spazi appositamente pensati fuori dai grandi centri per favorire luoghi di lavoro di prossimità e diminuire il pendolarismo. Non solo, stanno nascendo nuovi fenomeni, come quello del South working, o se ne stanno sviluppando ulteriormente altri come quello dei "nomadi digitali" che vivono solo per alcuni mesi in un luogo per poi spostarsi in altre località.
Regole chiare per durare
Lo smart working rappresenta un cambiamento piuttosto importante, sia a livello di procedure che di mentalità aziendale. Per questo è essenziale che questa transizione, che per molti può rappresentare una grossa novità, sia ricondotta a delle precise indicazioni a livello di accordo con l’organizzazione.
Come premessa va specificato che durante la pandemia parecchie forme di lavoro agile sono state adottate dalle aziende in via emergenziale. Adesso lo smart working comincia ad essere istituzionalizzato con accordi e regolamenti studiati ad hoc, perché diverse aziende lo hanno riconosciuto come una buona pratica, utile anche per arginare il fenomeno della Great resignation.
Tuttavia, trattandosi di un modello recepito da molte aziende in modo rapido nel periodo post Covid-19, alcuni elementi rimangono tutt’oggi all’interno di coni d’ombra. Vediamo, allora, a cosa devono prestare attenzione le aziende che vogliono attuare lo smart working in maniera corretta e, soprattutto, efficace.
- Strumentazione e connessioni
Oltre a dotare i lavoratori di adeguata strumentazione, occorre ricordare che smart working non vuol dire solamente emergenza Covid, ma, specialmente in questo periodo, maggiore libertà di organizzazione, di movimento e di lavoro in spazi condivisi. In tal senso va sempre tenuto presente che le reti pubbliche non possono sempre garantire livelli di sicurezza accettabili, esponendo i dati maneggiati dal lavoratore a possibili rischi. E’ importante, quindi, fare attenzione alle modalità di connessione a internet.
- Attenzione alla privacy
Tra i nuovi spazi di lavoro che il ricorso allo smart working ha creato, un posto di primissimo piano va sicuramente riconosciuto all’ambiente domestico. Tantissimi lavoratori hanno cominciato a svolgere il proprio lavoro dal salotto di casa e ciò, sotto alcuni punti di vista, può rappresentare un possibile rischio da tenere presente. Se infatti in casa transitano parenti o conoscenti bisognerebbe prestare attenzione alla riservatezza delle informazioni che vengono trasmesse. Questo scenario non è affatto remoto, basti pensare ad una telefonata con un collega durante la quale scambiamo ad alta voce informazioni più o meno confidenziali, come ad esempio sullo stato di salute di un terzo collega. Mettere in circolo questo tipo di informazioni è sempre una potenziale fonte di danno alla privacy.
- Separare ambienti domestici e luoghi di lavoro
Ogni volta in cui parliamo di qualsiasi forma di lavoro agile, ci troviamo a ribadire che la separazione dei luoghi e dei momenti della giornata da dedicare al lavoro e alle altre attività ad esso non connesse è fondamentale. Il diritto alla disconnessione sta entrando a pieno titolo nella quasi totalità degli accordi di lavoro agile, questo anche perché diventa più difficile capire come regolarsi quando l’ambiente domestico e quello di lavoro coincidono. Avere delle regole che siano il più possibile chiare aiuta a costruire una separazione ideale tra vita privata e lavoro, anche se con lo smart working il confine tra le due cose sembra essersi assottigliato.
Misurare l’impatto dello smart working su sostenibilità e benessere: il progetto Smart & Value e AlmaLaurea srl
Tra i principali vantaggi solitamente associati allo smart working rientrano la riduzione di tempi e costi di spostamento, il miglioramento del work-life balance, l’aumento della motivazione e della soddisfazione, ma è innegabile anche l’impatto che lo smart working ha in termini di sostenibilità.
AlmaLaurea srl, assieme ad altre 10 aziende italiane, ha partecipato direttamente ad un progetto di ricerca volto a misurare questo impatto, grazie al coinvolgimento di 300 dipendenti. Si tratta del progetto Smart & Value, che ha reso possibile raccogliere ed utilizzare dati chiari e puntuali sui benefici e i risparmi (ambientali, economici e sociali) del programma di smart working di ciascuna azienda partecipante.
Il progetto, promosso da Stantec (multinazionale leader nella progettazione e consulenza ingegneristica e architettonica) insieme al Sustainability & Circular Economy Lab (partnership triennale tra il Dipartimento di Management dell’Università di Bologna e Manageritalia Emilia-Romagna) e alla start up innovativa Dilium, è stato strutturato in due fasi per una durata complessiva di circa un anno.
Durante il primo periodo, dopo una formazione verso i dipendenti delle aziende partecipanti su temi organizzativi e psico-sociali del lavoro flessibile, tramite l’utilizzo di un’apposita piattaforma i dipendenti hanno potuto inserire le informazioni relative alle principali variazioni che lo smart working ha comportato alle loro giornate lavorative.
La seconda fase ha coinvolto un pool di ricercatori dell'Università di Bologna in un’indagine quantitativa/qualitativa finalizzata all’elaborazione della ricerca finale, contenente indicazioni generali sulla relazione tra lavoro a distanza e sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Dalla ricerca risulta che in soli sei mesi di smart working parziale (2/3 giorni a settimana), gli oltre 300 dipendenti delle 11 aziende partecipanti hanno:
- evitato spostamenti per 700mila km, pari a più di 17 giri dell’equatore;
- limitato una quantità di emissioni di CO2 pari a quella assorbita in un anno da una foresta di 32 ettari;
- risparmiato costi di carburante, pedaggi, parcheggi, di alcune spese per la gestione familiare e di tempo (-14.000 ore di spostamento casa-lavoro);
- aumentato il benessere e migliorato la qualità della vita: il 37% dei lavoratori intervistati si è detto meno stressato, il 25% più concentrato e il 7% più creativo; solo il 4% preferisce lavorare sempre in ufficio.
Non solo, anche le aziende ne hanno beneficiato, rilevando un miglioramento della produttività, del lavoro per obiettivi, e delle competenze digitali delle persone.
Alle imprese che scelgono di abbracciare questa modalità di lavoro non resta che comunicare quanto questa sia importante e le caratterizzi, per farlo però occorrono i giusti strumenti a supporto della propria comunicazione di employer branding. Per raccontarsi ad un pubblico di candidati sempre più attento e sensibile al tema della flessibilità lavorativa.
Vuoi rimanere aggiornato sui contenuti dedicati al mondo delle imprese?
Compila il form e iscriviti alla newsletter!