Ogni giorno prendiamo decisioni, da quelle semplici – come scegliere cosa indossare al mattino – a quelle più complesse che riguardano lavoro, salute o vita personale. Tuttavia, fattori esterni come informazioni contrastanti, paure o pregiudizi possono portarci a scelte sbagliate, spesso con conseguenze significative. E se ci fosse un modo per orientare le decisioni verso opzioni più vantaggiose, senza forzature?
Questa è la logica alla base del nudging, un approccio derivato dalle Neuroscienze che, attraverso interventi discreti ma strategici, aiuta le persone a prendere decisioni migliori. Sempre più aziende stanno esplorando il potenziale del nudging nel settore delle risorse umane, applicandolo al recruiting, per migliorare i processi di selezione e assunzione.
Ne parliamo con Francesco Maria Barbini, professore associato di Organizzazione aziendale presso il Dipartimento di Scienze Aziendali dell'Università di Bologna, esperto di Organizzazione aziendale e Gestione delle Risorse Umane.
Nudging e HR: le applicazioni pratiche spiegate dal Prof. Barbini
Oggi si sente parlare spesso di “nudging”. Di che cosa si tratta?
“Nudging si potrebbe tradurre come “spinta gentile”, pungolo. Un approccio che parte dal presupposto che ogni individuo in ogni momento compie delle scelte che sono condizionate da decisioni. Il nudging è stato teorizzato come ogni aspetto che, all’interno dell’architettura delle scelte, influenza il comportamento delle persone senza però obbligare, ordinare o proibire e senza modificare in modo significativo l’intento iniziale. Si tratta, in sostanza, di piccoli aggiustamenti che influenzano in meglio la decisione finale senza condizionare o limitare la libertà di scelta”.
Il nudging quindi si riferisce ad ambiti concreti del vivere quotidiano?
“Sì, ogni aspetto del vivere può essere oggetto di nudging, anche quello che definisce la scelta di un indumento o del cibo per i nostri pasti. Per spingere dolcemente una persona ad alimentarsi bene, è nudging porre sotto i suoi occhi cibi salutari in mensa, senza proibire nulla. Altro esempio classico è quello della ristorazione, perché utilizzare piatti di ampie dimensioni fa sentire più sazi anche con porzioni identiche. Quindi può aiutare a seguire una dieta senza imporre nulla. Ricerche sperimentali hanno anche mostrato come il nudging possa indurre l’emergere di buone abitudini, la scelta di investimenti finanziari e previdenziali vantaggiosi, o l’adesione a programmi per la salute. Anche in ambito aziendale questa spinta gentile può rivelarsi vantaggiosa, per esempio per promuovere comportamenti virtuosi, migliorare la creatività e l’interazione tra colleghi. Interventi di nudging efficaci possono a volte rivelarsi per l’azienda premianti e sostenibili alla pari di altre strategie come per esempio i premi di risultato”.
Qual è un esempio concreto di applicazione del nudging e, più in generale, delle Neuroscienze, nel mondo del lavoro?
“Esistono molti modi per applicare strategie di nudging in azienda. Per favorire l’interazione e la collaborazione tra colleghi, per esempio, si rivelano utilissimi piccoli cambiamenti strutturali come l’abbattimento delle barriere divisorie e l’impiego dell’open space rispetto agli uffici singoli. Per promuovere una maggiore attività fisica nelle ore di lavoro è utile per esempio ridurre la velocità degli ascensori e rendere le scale un ambiente gradevole, con colori attraenti delle pareti e scritte motivazionali. Si possono creare spazi comuni per interagire in modo costruttivo, anche dotandoli di libri da prendere in prestito, riproduzioni di opere d’arte, materiale su viaggi, mostre e così via. Ancora, può essere utile applicare all’ambiente di lavoro tecniche di framing. Questo consiste nella tendenza, da parte del nostro cervello, a interpretare le informazioni che ci vengono fornite a seconda del modo in cui sono presentate. Framing può infatti essere tradotto come “dipendenza da inquadramento”. Per esempio, un corso aziendale sarà seguito da molti più impiegati se vengono messe in risalto qualità positive del corso stesso, come possibilità di crescita e di fare carriera frequentandolo”.
Parlando del mondo del lavoro, il nudging può rivelarsi uno strumento a disposizione del recruiter?
“Il nudging si può applicare in diversi modi all’interno del processo di recruiting aziendale, per fare emergere le qualità di un candidato e quindi individuare il professionista più adatto a una determinata posizione. L’obiettivo deve sempre essere quello dell’efficacia della selezione e non della rapidità di individuare la figura giusta. Essere troppo veloci, anzi, può portare fuori strada, finendo per eliminare candidati potenzialmente adatti. Già nella pubblicazione di un annuncio di lavoro su un social o su un portale per professionisti, utilizzare alcuni termini nella job description può portare ad escludere alcuni candidati e a spingere avanti altri che si rivelano più adatti. Sempre in fase di recruiting, può essere utile porre domande un po’ più complesse, oppure inserire requisiti in forma di domanda, tali da prevedere un minimo di ragionamento. Candidati non sufficientemente motivati tendono a questo punto a lasciare perdere e a non proseguire”.
Nel processo di recruiting, i bias possono rivelarsi un limite che penalizza sia il recruiter sia il candidato. Il nudging può aiutare a evitare questo rischio?
“Il selezionatore è sempre esposto a condizionamenti e ad errori sistematici, i bias cognitivi appunto, che rischiano di influenzare l'individuazione del candidato più adatto per quel posto. Un recruiter efficiente, scelto dall’organizzazione per quel ruolo, si sente caricato di una serie di responsabilità che si rivelano condizionanti. In questo caso può subentrare l’effetto mirroring, in cui si è portati a scegliere candidati simili a sé per profilo ed esperienza. Il rischio è creare un effetto alone che porta a isolare alcune caratteristiche ritenute ideali e utilizzarle anche in altri ambiti come parametro di riferimento. Nel processo di selezione in questo caso può essere utile oscurare alcuni dati, come il Paese d’origine o il sesso, per concentrarsi sulle skills davvero importanti. In questo modo può operare una scelta maggiormente oggettiva e performante, rispondendo alle richieste dell’organizzazione. Anche i colloqui video, che possono far risparmiare tempo in fase di selezione, possono costituire un rischio perché aspetti come gestualità, aspetto fisico, età, presenza di eventuali disabilità possono interferire nella scelta”.
Ritiene che il nudging potrebbe aiutare a portare avanti candidati davvero convinti di accettare un'offerta oppure permettere loro di autoescludersi se non realmente motivati?
“Secondo le Neuroscienze, l’irrazionalità ha un enorme potenziale su scelte e decisioni. Ogni individuo infatti ogni giorno si confronta con contesti complessi e non sempre ha una capacità di attenzione che permetta di andare a fondo a una domanda, cercando di stabilire risposte differenti in caso di formulazioni alternative. Così fornisce la risposta più istintiva, che può essere fuorviante e penalizzare rispetto alle reali capacità. Ad esempio, inserire, in un annuncio di lavoro, un termine come “esigente” può portare quasi la metà dei candidati di sesso femminile ad autoescludersi già in fase iniziale di recruiting. Professionalità potenzialmente adatte rischiano quindi di non arrivare nemmeno in fase di colloquio. Diversamente, l’utilizzo del termine “diligente” non ha questo effetto rimbalzo e sembra essere più obiettivo e coinvolgente, senza provocare l’effetto opposto, ossia l’auto-eliminazione nei candidati di sesso maschile”.
L’applicazione del nudging al mondo del lavoro e delle HR sembra avere molti effetti positivi. Esistono anche rischi da gestire?
“Gli effetti positivi ci sono sicuramente, già a partire dall’ambiente di lavoro. Diversi studi hanno dimostrato che alcune scelte gentili e non condizionanti possono migliorare il well-being aziendale con ripercussioni positive anche sulla salute dei dipendenti. Il nudging di conseguenza può aiutare a ridurre il turnover del personale, può favorire la retention e può costituire un punto di forza nel recruiting addirittura a partire dalla scelta delle organizzazioni per le quali candidarsi. Ancora, il nudging può essere utilizzato per promuovere l’inclusione e la diversità limitando i bias cognitivi inconsapevoli che possono portare a eliminare alcune categorie tra le quali si potrebbero trovare candidati idonei. Tra i lati negativi, ci potrebbe essere un'applicazione scorretta, strumentale superficiale di questa “spinta gentile” Bisogna evitare di scadere nella manipolazione anche a fin di bene, ossia quando l’obiettivo sono la produttività e la performance: in caso contrario si esce dall’ambito del nudging. Nel caso specifico del recruiting è essenziale applicare le tecniche di nudging in modo consapevole e controllato. Soprattutto occorre tenere a mente la necessità di monitorarne l’impatto sulle scelte e sui comportamenti effettivi degli individui, assicurandosi che gli esiti siano coerenti con gli obiettivi organizzativi e rispondano a solidi criteri di eticità.”.
In un mondo del lavoro sempre più competitivo, è fondamentale individuare le figure professionali più adatte a ciascun ruolo, per valorizzare al massimo le risorse, anche attraverso l’applicazione delle tecniche di nudging!
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