Se è vero che le persone rappresentano la risorsa più preziosa per un'azienda, come è ormai opinione diffusa e condivisa, è anche vero che le persone vanno motivate e aiutate a dare il meglio di sé. Come? Ci sono molti modi in cui un ‘impresa può farlo, uno di questi è introdurre una cultura del feedback, che permette di instaurare con il proprio team una comunicazione aperta e costruttiva.
Il feedback rappresenta un valido strumento di comunicazione con i collaboratori, che li facilita nell’orientarsi rispetto agli obiettivi aziendali, andando a riflettere sul proprio operato sia in termini positivi che di miglioramento. Inoltre un’azienda che adotta il feedback come strumento di confronto potrà sicuramente verificare i benefici di questo approccio in termini di produttività e clima aziendale. Avere a che fare con un ambiente in cui l’ascolto, lo stimolo al miglioramento e la fiducia sono alla base, avrà infatti risvolti positivi per l’intero team. Non solo, il feedback si configura anche come momento di chiusura necessario di un processo di selezione, un momento che può contribuire a diffondere un’immagine positiva dell’azienda, sia in caso di esito del processo positivo che negativo.
Cos’è il feedback e perché è importante
Se volessimo tentare una traduzione letterale del termine potremmo dire che il feedback consiste nel “dare indietro” (back) un “nutrimento” (feed) e quindi alimentare con informazioni aggiuntive chi lo riceve, così da fornire un parere relativamente ad aspetti specifici, che può influenzarlo nell’orientare le proprie azioni future.
L’obiettivo del feedback è quindi produrre un effetto positivo, offrendo a chi lo riceve un’utilità e, in alcuni casi, una possibilità di crescita e miglioramento. Affinché il feedback produca davvero un esito positivo da un lato è fondamentale per chi lo riceve mettersi in ascolto, cercando di non interrompere e facendo eventuali domande per aumentare la chiarezza di quanto viene condiviso. La persona non dovrebbe percepire il feedback come una valutazione a livello personale, ma come un riscontro sulle azioni messe in atto: non è un giudizio sul sè, e quindi non serve né mortificarsi né crogiolarsi nella gratificazione.
Tuttavia, è anche responsabilità di chi deve dare un feedback fare in modo di comunicare in maniera strutturata, tenendo conto di alcuni aspetti prima di procedere, per far sì che fornisca davvero spunti di miglioramento e non rischi di essere percepito come una critica negativa, con la conseguente possibilità di intaccare l’autostima del collaboratore e quindi il suo engagement e la sua produttività.
Come dare un buon feedback?
È importante adottare l’approccio giusto per essere sicuri di restituire un buon feedback, a tal proposito è utile seguire alcuni accorgimenti:
- Essere specifici, il feedback deve concentrarsi su un comportamento specifico, una situazione, un compito e non sulla persona nella sua totalità, così da non essere percepito come giudicante ma da portare la persona che lo riceve a riflettere su un elemento preciso, senza che ci siano fraintendimenti.
- Essere concreti e oggettivi, il feedback non deve essere generico e dettato dall’impulso del momento ma deve essere misurabile e riferibile ad uno o più indicatori, per questo occorre riflettere su quanto manchi alla persona destinataria del feedback per raggiungere un certo obiettivo o, in positivo, quanta strada sia stata fatta fino ad ora.
- Essere chiari, è importante condividere con chiarezza quale sia lo scopo del feedback e quindi condividere anche informazioni chiare su come la persona può intraprendere azioni migliorative o quali possano essere le conseguenze di un comportamento osservato.
- Utilizzare un linguaggio e dei toni giusti, è opportuno evitare espressioni totalizzanti come “sempre” e “mai”, evitare di inserire nel discorso altre persone oppure di utilizzare frasi paternalistiche come “lo faccio per il tuo bene”. Un buon approccio è invece quello di tenere sempre un tono pacato e aperto all’ascolto.
Cultura del Feedback: le regole d’oro
Il feedback ricopre un ruolo centrale nel processo di selezione, anche o forse soprattutto quando l'esito di quest'ultimo non è positivo. Questo ragionamento è abbastanza logico, in quanto è difficile pensare che qualcuno possa trovarsi a proprio agio se lasciato in un limbo in cui, giorno dopo giorno, matura la sensazione di essere stati scartati. A questo proposito è importante che il recruiter non tralasci il momento conclusivo della selezione ma che, al contrario, gli dedichi un’attenzione particolare.
Candidati-ambassador, il feedback che fa employer branding
Infatti, dare feedback chiari e nelle giuste tempistiche può rappresentare una leva notevole in termini di employer branding, creando un circolo virtuoso per cui anche i candidati esclusi dal processo di selezione abbiano un’immagine positiva dell’azienda; per raggiungere questo obiettivo è opportuno adottare alcune attenzioni chiave:
Tempistiche chiare il più possibile
Durante il processo di selezione sarebbe auspicabile organizzare il lavoro in modo tale da avere delle tempistiche di massima, che possono essere già fornite in sede di colloquio come termini ultimi per ricevere una risposta.
Standardizzare per comunicare meglio
Per inviare il feedback in selezioni che prevedono il coinvolgimento di un alto numero di candidati, può essere utile ricorrere a dei modelli di messaggio che facciano riferimento alle principali casistiche per cui un candidato non è stato ritenuto idoneo, come ad esempio la mancanza di esperienza nel settore, la non coincidenza del titolo di studio con quello richiesto e così via. Questo accorgimento può facilitare l’invio di feedback numerosi ma facendo comunque riferimento ad una motivazione specifica.
Non perdersi di vista
Restare in contatto con i candidati non selezionati può a prima vista sembrare una cautela improduttiva; in realtà sono molte le situazioni per cui una persona non idonea ad un iter selettivo in particolare potrebbe invece calzare a pennello per una selezione futura. Tenersi in contatto con i candidati è quindi una soluzione che unisce un maggior coinvolgimento della persona esclusa a possibili esigenze future. Per realizzare tutto ciò ci sono diversi strumenti ma quello più immediato è sicuramente quello di invitare la persona a seguire la pagina aziendale dove verranno pubblicate le future ricerche e dove vengono convogliati contenuti per rafforzare l’immagine positiva dell’impresa.
Il feedback richiesto
Un argomento sempre più dibattuto è invece relativo al feedback richiesto dai candidati dopo un processo di selezione con esito negativo. Oggi molte persone, specialmente se stanno conducendo le loro prime esperienze di colloquio, a seguito di un feedback negativo chiedono conto degli elementi che hanno portato i recruiter a scegliere altre persone. Questa dinamica sicuramente rappresenta una novità rispetto alle attività di recruiting che venivano svolte anni fa ma ogni cambiamento può essere visto come un'occasione, ovvero quella di fornire spunti di orientamento ai candidati, che in questo modo possono avere più elementi per elaborare le proprie decisioni sulle strade lavorative da perseguire.
Sarebbe auspicabile che con il passare degli anni si rivolgesse sempre più questa attenzione verso i candidati, i quali meritano importanza a prescindere dall'esito, visto che hanno dedicato parte del loro tempo per presentarsi ed affrontare uno o più step selettivi.
Molti sono ancora i recruiter che percepiscono queste richieste di contro-feedback come stressanti oppure come inutili aggravi di lavoro, senza forse cogliere il fatto che quando un candidato si rivolge in maniera così diretta anche dopo un esito negativo, probabilmente è perché si è riusciti a trasmettere l'immagine della propria organizzazione come attenta alle persone e che quindi è disponibile a dedicare pochi minuti del proprio tempo nel motivare ulteriormente l’esito negativo di una selezione.
Il feedback in azienda come costruttore di senso
Ridurre il feedback ad un elemento prezioso esclusivamente nei processi di selezione è quanto di più sbagliato si possa fare: se pensiamo che la necessità delle persone sia quella di ricevere un giudizio solo dopo un colloquio di lavoro siamo totalmente fuori strada. Oggi è essenziale sviluppare una vera e propria cultura del feedback, che accompagni l'organizzazione in ogni attività compiuta.
In fenomeni contemporanei molto dibattuti come la great resignation, che vede un frequente abbandono del posto di lavoro da parte delle persone, la mancanza di feedback è uno degli elementi che accelerano e potenziano questo tipo di dinamiche. Per andare in controtendenza rispetto a questi fenomeni occorre perseguire l'obiettivo di un clima aziendale fertile in cui le persone possano crescere. Infatti, migliorarsi dovrebbe essere un obiettivo primario ma ciò non è possibile se le persone operanti nell'organizzazione non hanno degli appoggi per orientare la direzione dei propri sforzi. In questo senso il feedback va inteso proprio come un elemento costruttore di senso, una preziosa indicazione che opera una valutazione delle attività compiute e aiuta a orientare la bussola verso nuovi compiti e responsabilità.
Essere feedback oriented: diversi possibili scenari
Come tutti i cambiamenti, anche l'introduzione di una cultura aziendale feedback-oriented non è priva di rischi, per questo motivo vanno valutati accuratamente tutti i possibili scenari. Tra i principali rischi identificabili in tali processi, che coinvolgono le persone che fanno parte delle organizzazioni emergono sicuramente:
- timori derivanti da una maggiore ansia da prestazione, in quanto passare da una totale autogestione dei propri compiti ad aspettarsi un monitoraggio ed un'analisi del lavoro svolto può generare iniziale spaesamento;
- incomprensioni derivanti dalla confusione generale di chi siano le persone o gli uffici preposti ad erogare il feedback. In questo senso serve organizzazione e uno schema chiaro, per evitare che il feedback diventi un generatore di incomprensioni e farlo rimanere un costruttore di chiarezza.
Un’organizzazione improntata sul feedback, che attua tutte le cautele e si organizza in maniera stabile per reggere le diverse dinamiche che possono crearsi, è un’organizzazione più stabile, in cui le persone si orientano meglio e sono maggiormente serene nell’affrontare le proprie responsabilità.
La costruzione di una realtà improntata al feedback parte dal processo di selezione, si palesa in ogni ambito della candidate journey e successivamente della vita lavorativa delle proprie persone. I cambi culturali impattanti come questo richiedono tempo per essere messi in campo ma, come visto, portano a dei vantaggi indiscutibili a 360 gradi. In ogni caso, è importante partire con il piede giusto, impostando una corretta attività di ricerca e selezione, se vuoi affidare in outsourcing un processo di selezione che sia attento alle esigenze dei candidati e alle necessità dell’impresa, contattaci per sapere come progettiamo con cura ogni singola fase.
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