Nell'ambito del Rapporto AlmaLaurea 2021 su Profilo e Condizione occupazionale dei Laureati, è stato analizzato il tema dei percorsi formativi che seguono un approccio multidisciplinare e/o interdisciplinare, con particolare riferimento alle digital skills in ambito umanistico.
Al fine di monitorare i percorsi di studio definibili “digital humanities” (o informatica umanistica), ossia corsi in ambito umanistico contenenti al loro interno almeno il 5% dei crediti nei settori scientifico-disciplinari di informatica e ingegneria informatica, è stata condotta un’analisi a partire dall’offerta formativa dell’a.a. 2020/21 di tutti i corsi di laurea del sistema universitario italiano.
In particolare, su 770 corsi di area umanistica 72 rispondono alla caratteristica sopra definita, raggiungendo una percentuale pari al 9,4%. Tale quota è però più elevata tra i laureati magistrali biennali (14,3%, 58 corsi su 406), sui quali si è scelto di concentrare l'attenzione.
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LE CARATTERISTICHE DEI LAUREATI NELL’AMBITO DELLE DIGITAL HUMANITIES
I laureati magistrali biennali in digital humanities (o informatica umanistica) coinvolti nell’Indagine sul Profilo dei Laureati del 2020 sono oltre 2.700 e costituiscono il 14,9% dei laureati magistrali biennali in area umanistica. Da un’analisi comparativa con i laureati nei percorsi umanistici tradizionali, emergono alcune caratteristiche peculiari dei laureati in digital humanities:
- maggiore propensione alla migrazione per studio e lavoro;
- percorsi di studio più regolari;
- maggiori competenze linguistiche.
I laureati magistrali biennali in digital humanities sono più propensi alla migrazione in tutte le fasi dell’esperienza universitaria: dopo la scuola secondaria di secondo grado cambia regione per raggiungere l’università il 44,5% dei laureati in digital humanities rispetto al 30,5% dei laureati dei corsi umanistici tradizionali. Allo stesso tempo, provengono più spesso da corsi di primo livello svolti all’estero (5,2%) rispetto ai laureati di corsi umanistici tradizionali (2,2%). Tra i laureati in digital humanities che prima della magistrale biennale hanno concluso un corso di laurea italiano di primo livello, il 38,4% ha cambiato ateneo rispetto al 26,5% dei corsi umanistici tradizionali. Il 60,2% indica come decisamente rilevante l’opportunità di avere contatti con l’estero nel futuro lavoro rispetto al 37,3% dei corsi tradizionali. Più nel dettaglio, il 54,2% dei primi è disponibile a lavorare in un altro Stato europeo e il 37,3% addirittura fuori dall’Europa, mentre nei corsi umanistici tradizionali le percentuali si attestano rispettivamente al 39,2% e al 25,1%.
I laureati magistrali biennali in digital humanities concludono gli studi più rapidamente rispetto a chi consegue il titolo in un corso umanistico tradizionale: l’età media alla laurea è di 26,8 anni per i primi e di 28,0 anni per i secondi e la quota di regolari, ossia di coloro che concludono il corso nei tempi previsti, è rispettivamente del 64,6% e del 55,8%.
I laureati magistrali biennali in digital humanities, in base alle loro auto-valutazioni, si percepiscono più preparati dei colleghi dei corsi umanistici tradizionali rispetto alle competenze linguistiche: a conoscere l’inglese scritto ad un livello almeno B2 è l’88,2% dei primi rispetto al 65,1% dei secondi; analoghe differenze si registrano per l’inglese parlato.
Per quanto riguarda l’uso degli strumenti informatici, invece, considerando la quota di chi li conosce a livello almeno buono, i laureati in digital humanities si dimostrano più preparati dei laureati nei corsi umanistici tradizionali per quanto riguarda gli strumenti di presentazione, i fogli elettronici, i sistemi operativi, word processor, la navigazione in internet e comunicazione in rete e, infine, la realizzazione di siti web.
Per quanto riguarda le esperienze svolte nel corso della laurea magistrale biennale, i laureati in digital humanities prendono parte più di frequente ad esperienze di studio all’estero riconosciute dal corso di studio (24,7% rispetto al 14,0% dei corsi tradizionali), ma questo risultato dipende dalla forte propensione per questo tipo di esperienze dei laureati del gruppo linguistico, sovrarappresentato nei corsi in digital humanities. La quota di laureati magistrali biennali in digital humanities che ha svolto un tirocinio curriculare è più elevata rispetto a quella rilevata nei corsi umanistici tradizionali (66,0% rispetto al 59,7%). I laureati in digital humanities infine lavorano meno di frequente durante gli studi (72,6% rispetto al 74,3% dei corsi tradizionali).
Infine, con riferimento alle valutazioni sul corso che stanno concludendo, i laureati magistrali biennali in digital humanities si dimostrano leggermente più critici rispetto ai colleghi dei corsi umanistici tradizionali: i soddisfatti per l’esperienza complessiva sono l’88,6% tra i primi e il 91,6% tra i secondi. Se potessero tornare indietro al momento dell’iscrizione al corso, i laureati magistrali biennali in digital humanities confermerebbero la scelta fatta nel 70,3% dei casi rispetto al 77,2% registrato tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali.
LA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI LAUREATI NELL’AMBITO DELLE DIGITAL HUMANITIES
Di seguito sono riportati i principali esiti occupazionali dei laureati magistrali biennali nell’ambito delle digital humanities (o informatica umanistica) a cinque anni dal conseguimento del titolo. Si tratta di circa 1.900 laureati del 2015 coinvolti nell’Indagine del 2020 sulla Condizione occupazione, che costituiscono il 12,2% del complesso dei laureati magistrali biennali in area umanistica.
A cinque anni dalla laurea magistrale biennale, tra i laureati in digital humanities il tasso di occupazione è pari all’83,8%, valore superiore al 78,6% rilevato tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali. Si tratta di un risultato ancora più positivo se si considera che, complessivamente, tra i laureati in digital humanities occupati a cinque anni, il 72,7% ha trovato lavoro solo al termine del conseguimento del titolo magistrale biennale (quota superiore al 68,1% rilevato per i laureati dei corsi umanistici tradizionali); inoltre, tra coloro che hanno iniziato l’attuale attività lavorativa dopo il conseguimento della laurea, i tempi di inserimento nel mercato del lavoro sono più rapidi (5,8 mesi rispetto ai 7,3 mesi dei corsi umanistici tradizionali).
Tra i laureati in digital humanities il lavoro autonomo (liberi professionisti, lavoratori in proprio, imprenditori…) riguarda l’11,5% degli occupati, mentre i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato il 56,9%; si tratta di valori superiori a quanto rilevato per i laureati dei corsi umanistici tradizionali (8,5% e 42,7%, rispettivamente). Il lavoro non standard, in prevalenza contratti a tempo determinato, coinvolge invece il 22,4% dei laureati in digital humanities, valore decisamente inferiore rispetto a quello rilevato tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali (40,0%). Risultano residuali le quote di occupati con altre tipologie di lavoro.
A cinque anni dalla laurea, la quota di laureati che lavora all’estero è pari all’11,8%, rispetto al 6,3% dei laureati dei corsi umanistici tradizionali.
I laureati in digital humanities dichiarano di percepire una retribuzione superiore a quanto rilevato tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali: a cinque anni dal titolo la retribuzione mensile netta è infatti pari a 1.419 euro, +7,4% rispetto ai 1.321 euro dei laureati dei corsi umanistici tradizionali. Le tendenze sono confermate anche tenendo conto della diversa diffusione del tempo pieno e del tempo parziale.
Per valutare la corrispondenza tra studi compiuti e lavoro svolto si è presa in esame l’efficacia del titolo, che combina la richiesta della laurea per l’esercizio del lavoro svolto e l’utilizzo, nel lavoro, delle competenze apprese all’università. A cinque anni dal conseguimento del titolo, la laurea magistrale biennale risulta molto efficace o efficace per il 60,1% dei laureati in digital humanities (valore inferiore al 65,4% rilevato tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali).
E' interessante approfondire, distintamente, le variabili che compongono l’efficacia. Per ciò che riguarda la prima componente dell’efficacia, il 28,1% dei laureati in digital humanities dichiara che la laurea è richiesta per legge per l’esercizio della propria attività lavorativa (valore decisamente inferiore rispetto ai laureati dei corsi umanistici tradizionali, pari a 44,3%), il 25,8% ritiene che sia di fatto necessaria (anche se formalmente non richiesta per legge), cui si aggiunge un altro 36,9% che la reputa utile (tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali le quote sono, rispettivamente, 18,3% e 28,3%). Il restante 9,2% non la ritiene né richiesta né tantomeno utile (in linea rispetto al 9,0% dei corsi tradizionali). Anche per quanto riguarda la seconda componente dell’efficacia si osservano delle differenze, anche se più contenute. Il 53,9% dei laureati in digital humanities (rispetto al 56,0% degli laureati dei corsi umanistici tradizionali) utilizza in misura elevata le competenze acquisite durante il percorso di studio, mentre il 35,9% (rispetto al 32,9%) dichiara un utilizzo contenuto; ne consegue che il 10,2% dei laureati in digital humanities (rispetto all’11,1% dei corsi umanistici tradizionali) ritiene di non sfruttare in alcun modo le conoscenze apprese nel corso degli studi universitari.
L’unico limite pare quindi consistere in una minore corrispondenza rilevata tra gli studi compiuti e l’esito occupazionale, in particolare per quanto attiene alla richiesta per legge del titolo, che è legata anche a problemi di mismatch di tipo verticale (ossia di laureati che occupano più frequentemente posizioni professionali non da laureato). A tal proposito, se si analizza la professione dichiarata a cinque anni dal conseguimento del titolo, si rileva che tra i laureati in digital humanities, il 2,4% svolge una professione imprenditoriale o nell’alta dirigenza (in linea con i laureati dei corsi umanistici tradizionali), mentre il 54,7% una professione ad elevata specializzazione (valore decisamente inferiore rispetto al 61,0% dei laureati dei corsi umanistici tradizionali); il 18,5%, invece, svolge una professione tecnica, in particolare nella sfera delle vendite e del marketing, mentre il 19,5% una professione esecutiva (valori, entrambi, superiori a quanto rilevato tra i laureati dei corsi umanistici tradizionali: 17,3% e 14,1%, rispettivamente). Risultano residuali le quote di quanti sono occupati nelle restanti professioni meno qualificate. Più nel dettaglio, considerando le professioni ad elevata specializzazione, i laureati in digital humanities svolgono, in misura relativamente maggiore, la professione di specialisti delle scienze gestionali, commerciali e bancarie (14,2%, in particolare nei rapporti con il mercato, rispetto al 6,9%) e specialisti in discipline linguistiche, letterarie e documentali (8,6%, in particolare interpreti e traduttori, rispetto al 4,6%). Risulta invece decisamente meno diffusa la professione di insegnanti e professori (21,2% rispetto al 43,8%). Ne deriva che l’efficacia del titolo risulta condizionata dalla molteplicità e dall’eterogeneità delle figure professionali rilevate, nella maggior parte dei casi posizionate su livelli inferiori rispetto a quelle tipicamente considerate da laureato.
I risultati ottenuti lasciano ipotizzare che il mix di competenze sia vincente per i laureati degli ambiti umanistici, perché consente loro di trovare inserimenti professionali in settori economici diversi da quelli tipici dell’insegnamento. Vero è che, restando pur sempre ambiti disciplinari a elevato contenuto umanistico, solo una parte delle competenze acquisite può essere valorizzata nel proprio lavoro. Per le professioni di sbocco diverse dall’insegnamento, dunque, occorrerebbe probabilmente sottoporre a manutenzione tali corsi al fine di renderli effettivamente competitivi sui mercati del lavoro, trasferendo agli studenti competenze tecniche più adatte ai fabbisogni delle imprese.
- Profilo dei laureati (XXIII Indagine 2021)
- Condizione occupazionale dei laureati (XXIII Indagine 2021)