Classifiche, quanto sono affidabili
Leggere correttamente i dati ed evitare interpretazioni errate: ti spieghiamo perché con le classifiche si rischia di incorrere in giudizi affrettati che mettono sotto accusa l’utilità occupazionale dei diversi percorsi di studio.
La valutazione dell’utilità di un percorso di studi o di una laurea è una questione alquanto complessa, che quasi mai può esaurirsi con una semplice classifica.
L’utilità di una laurea dipende prima di tutto dalle opportunità che offre a livello di inserimento occupazionale, di carriera e di realizzazione personale. In altre parole, sull’utilità di una laurea incidono fattori oggettivi, come le competenze richieste dal mercato del lavoro, e fattori soggettivi, ovvero, fondamentalmente, cosa ci piace fare. Infatti, l’istruzione non è finalizzata unicamente alla realizzazione nel mercato del lavoro ma contribuisce al nostro benessere anche in altri ambiti della vita personale.
Un elemento che rende complessa la valutazione dell’utilità di un percorso di studi, sul piano dell’inserimento occupazionale e su quello dell’autorealizzazione, è che non ci si può limitare a verificarne gli effetti ad un anno dalla laurea. Il bagaglio di competenze e conoscenze di cui disponiamo ci accompagna lungo tutta la vita. Potrebbe verificarsi che competenze che ci appaiono poco utili nella fase iniziale della vita, successivamente risultino molto utili e la formazione è continua.
In particolare, per evitare di incorrere in giudizi affrettati sull’utilità, sul piano strettamente occupazionale, dei diversi percorsi di studio e, su queste basi, ricavare classifiche poco significative tra percorsi/facoltà, è opportuno considerare i diversi aspetti che misurano la qualità dell’inserimento occupazionale (retribuzione, tasso di occupazione e di disoccupazione, utilizzo delle competenze specifiche), incluso il grado di soddisfazione, e proiettare la verifica almeno sino a cinque anni dalla laurea, cosa che i dati AlmaLaurea consentono di fare.
È bene tenere presente che esistono anche delle differenze importanti tra i corsi di studi: un conto è analizzare i dati relativi all’inserimento professionale dei laureati a un anno dal conseguimento del titolo, tutt’altro prendere in esame la condizione occupazionale dei laureati delle Facoltà che a un anno dalla laurea proseguono ulteriormente con una formazione post laurea indispensabile.
L’unità di osservazione più significativa non sono le facoltà o i dipartimenti ma i singoli corsi di laurea (o tutt’al più i gruppi disciplinari).
Ancora più complessa è la questione della valutazione della validità degli atenei sulla base della performance occupazionale dei laureati perché questa dipende, oltre che dalla qualità dei servizi offerti dalle singole istituzioni, anche da altri fattori che non dipendono dagli atenei: dalla famiglia di origine, dalle abilità di studio dei propri studenti, dalla qualità delle esperienze di lavoro compiute durante gli studi e gli stages compiuti all’estero, dal dinamismo e dalla capacità di assorbimento del mercato del lavoro locale, dalle aspirazioni lavorative dei laureati.
Senza tenere in debita considerazione tutti questi elementi, qualunque valutazione e graduatoria potrebbe risultare, oltre che distorta, irrilevante o addirittura dannosa.